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Fillea Cgil Calabria: "Bene il pugno di ferro contro il lavoro nero"
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Il pugno di ferro messo in atto dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Cosenza e dal Nucleo Specializzato dei Carabinieri contro il lavoro nero e le violazioni in materia di salute e sicurezza nei cantieri edili nel cosentino rappresenta un segnale forte e necessario. Come Fillea Cgil Calabria auspichiamo che questo controllo possa essere esteso in tutta la nostra Regione. Le dieci sospensioni di attività imprenditoriali registratesi nei giorni scorsi nel settore edile non sono solo numeri, ma sono la fotografia di un sistema che troppo spesso mette il profitto davanti alla vita e ai diritti dei lavoratori. I dati parlano chiaro. Su sette imprese ispezionate, quattro impiegavano manodopera irregolare, e ben otto lavoratori su quattordici erano completamente in nero. Come Fillea Cgil Calabria riteniamo che ancora più preoccupanti siano le irregolarità riscontrate in materia di sicurezza: l’assenza di formazione per i lavoratori, la mancanza del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), le impalcature e i ponteggi non a norma. Una situazione non più accettabile tant’è che una delle ditte ispezionate e non in regola ha subito l’immediata sospensione dei lavori, a testimonianza della gravità delle condizioni rilevate. Come Fillea CGIL Calabria, riteniamo che molti di questi cantieri fossero sprovvisti anche della Certificazione di Congruità della Manodopera, un’attestazione obbligatoria dal 2021 nei cantieri pubblici e privati i cui lavori superano i 70.000 euro. Questa certificazione, rilasciata dalla Commissione Nazionale Paritetica per le Casse Edili (CNCE), è fondamentale per contrastare il lavoro nero e tutelare i lavoratori. Ricordiamo che, per interventi come la ristrutturazione di un edificio civile, la manodopera non può incidere meno del 22% del costo complessivo. Ed è proprio il rispetto di queste soglie che garantisce la trasparenza, il rispetto dei contratti e la legalità nei cantieri. La certificazione si ottiene a fine lavori e se l’impresa non rispetta le regole, viene richiamata dalla Cassa Edile per mettersi in regola, rischiando pesanti sanzioni. Si sta iniziando a raccogliere i frutti del potenziamento degli organici degli Ispettorati del Lavoro, in particolare dei servizi tecnici, a dimostrazione che non sbagliavamo quando chiedevamo di intensificare i controlli per rendere i luoghi di lavori più sicuri. Ora auspichino che i controlli oltre che intensificati siano anche mirati a stanare le illegalità che spesso si annidano nei grandi appalti, dove lo spezzettamento dell’opera abbassa di parecchio le soglie del lavoro sicuro a vantaggio della massimizzazione dei profitti delle grandi aziende. Ecco perché il referendum dell’8 e 9 giugno, che estende la responsabilità al committente in caso di infortunio, è uno strumento di civiltà giuridica che consente di non allentare le maglie della sicurezza nella filiera degli appalti. Accanto al contrasto del lavoro nero auspichiamo che si contrastino con la stessa determinazione le piaghe dello sfruttamento oltre l’orario di lavoro consentito, della mancata applicazione dei contratti collettivi e di tutti quei fenomeni che, pur non dando luogo alla sospensione dell’attività, sono comunque fonte di lavoro privo di dignità e sicurezza. Nessuno dovrebbe rischiare la vita lavorando. Nessuna impresa dovrebbe poter competere sul mercato tagliando i costi sulla sicurezza o sfruttando i lavoratori. È arrivato il momento di dare vita a una rete forte tra Istituzioni, Ispettorati, Forze dell’Ordine, Spisal, Sindacati e anche Rappresentanze delle parti datoriali, affinché si intercettino le illegalità, si lavori sull’azione preventiva e, soprattutto, si promuova la cultura della sicurezza. Serve azione e concretezza. Serve non voltarsi dall’altra parte, ma guardare insieme nella giusta direzione.

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