Un dialogo intenso ha animato l'ottavo appuntamento della Decina 2025 del Premio Sila. Ieri, nella libreria Mondadori di corso Mazzini, a Cosenza, Marco Ferrante ha presentato il suo romanzo “Ritorno in Puglia” (Bompiani). In un confronto stimolante con il giornalista e scrittore cosentino, Paride Leporace, l'autore ha approfondito i temi dell'identità, della colpa e del riscatto che permeano l'opera, catturando l'attenzione di un pubblico numeroso e attento.
In una Cosenza che si concede finalmente al tepore della tarda primavera, ieri, la libreria Mondadori di corso Mazzini è stata salotto buono della letteratura. Sedie occupate e occhi puntati su Marco Ferrante, chiamato a raccontare il suo “Ritorno in Puglia” (Bompiani). Questo è l’incipit per raccontare l’ottavo appuntamento della Decina 2025 del Premio Sila, attraverso due voci, quella di Ferrante, e quella di Paride Leporace, giornalista di razza e anfitrione della serata. Si parla di Puglia, di famiglie, di un’Italia che cambia pelle e non sempre se ne accorge. Si parla di radici, di ritorni, di tutto ciò che ci costringe a guardarci allo specchio. C'è un po' di tutto questo tra le pagine di un romanzo che sa di Sud, di memoria e di futuro...
Una Puglia fuori dai luoghi comuni
«Il mio tentativo era di spiegare un Sud diverso – ha esordito Marco Ferrante –. Mi sono reso conto di essere un pugliese di sessant’anni che non ha mai letto un vero libro sulla Puglia, salvo due eccezioni: “L’ora di tutti” di Maria Corti e “I fuochi del Basento” di Raffaele Nigro. Ho sempre pensato che non si capisse bene chi sono i pugliesi e qual è l'elemento fondante del loro carattere: i pugliesi sono irredenti, c'è una forma di irredentismo che non viene giustamente valutato da chi arriva da fuori».
Nel corso della serata, Ferrante ha disarticolato l'immagine stereotipata della Puglia turistica, offrendo uno spaccato sociologico della regione: «Una caratteristica della Puglia è che non aveva una struttura di aristocrazia feudale dominante come nelle altre regioni del Sud. L’ambientazione sociale della storia è quella di un ceto agrario che assume il potere economico e quindi politico dopo l'Unità d'Italia. Un ceto che però non fa in tempo a sedimentare il suo assetto di potere perché viene travolto dal fascismo».
«Hai sicuramente disarticolato il luogo comune della Puglia turistica – ha sottolineato Paride Leporace – e ti sei preso il felice agio di far odiare al tuo protagonista la commedia all'italiana. Perché questa scelta?».
«Bleve ritiene che non si possa sempre scherzare su tutto – ha risposto Ferrante –. Ci sono questioni su cui c’è molto poco da scherzare. Esiste nella vita il dramma, la storia è drammatica, e il senso drammatico della storia è una di quelle cose che fa di un Paese un Paese. Noi abbiamo sempre scelto una strada per sdrammatizzare, affidata al carattere nazionale, a quella leggerezza di cui la commedia all’italiana è espressione».
Un viaggio nella complessità umana
La direttrice del Premio Sila, Gemma Cestari, introducendo l’autore, ha ricordato: «Il Premio intreccia strani fili, strani percorsi di anno in anno. Ad Alessandro Leogrande, a cui Ferrante dedica un ringraziamento nel suo libro per "Il naufragio" sulla tragedia della Katër i Radës, noi dedicammo un premio alla memoria qualche mese dopo la sua scomparsa». Particolarmente toccante il momento in cui l’autore ha affrontato il tema della tragedia della Katër i Radës, evento centrale nel romanzo. «È stata la più grave tragedia della storia della Marina da guerra italiana», ha spiegato Ferrante. «Una nave da guerra lunga 120 metri che affonda una barchetta di 25 metri carica di famiglie. Una tragedia rimossa dalla coscienza nazionale perché quella cosa fu fatta da un Governo di centrosinistra, quindi quelli di sinistra non potevano criticare, e quelli di destra non potevano dire “avete fatto quello che noi auspichiamo”. Questa cosa rende il caso drammaticamente espunto dalla nostra memoria».
Identità e trasformazione del territorio
Durante il dialogo, è emerso anche il tema della trasformazione della Puglia da regione agraria a industriale. «La Puglia è veramente una regione industriale – ha affermato Ferrante – dove convivono l’industrializzazione dell’agricoltura e tante famiglie che cominciano a fare una produzione verticale. Su quel tessuto borghese si innerva una grande cosa imprenditoriale: il distretto delle scarpe di Casarano, gli abiti da sposa di Putignano, il distretto dei mobili, i capispalla di Martina Franca».
L’autore ha inoltre affrontato il tema dell’identità territoriale: «Credo nell’identità perché credo che sia una cavolata distruggerla e che non ci vuole niente a farlo, ci vuole molto meno tempo di quanto ci mettiamo per costruirla».
«E questo aspetto – ha commentato Leporace – mette in discussione quello che consideriamo come levantino, caratteristica dei pugliesi?»
«D’istinto ti direi che mi sembra sempre un po' riduttivo quella cosa del levantismo – ha ribattuto Ferrante. «Non mi ha mai convinto. C’è naturalmente una componente di quel tipo nella cultura mediterranea, ma c'è molto altro».
Il Premio Sila prosegue, in attesa della Cinquina
Il ciclo di incontri della Decina 2025 prosegue venerdì 9 maggio al Museo dei Brettii e degli Enotri, in Vico Sant'Agostino a Cosenza. Alle 18.30, il pubblico avrà l'opportunità di incontrare Sandro Veronesi, che presenterà il suo ultimo romanzo “Settembre nero” (La nave di Teseo). Un thriller esistenziale che esplora i lati più oscuri dell’anima umana, mescolando tensione narrativa e profondità psicologica. A dialogare con il celebre scrittore sarà il presidente della Fondazione Premio Sila, l’avvocato Enzo Paolini. Inoltre, tra qualche giorno, una conferenza stampa annuncerà la Cinquina 2025, ovvero i cinque libri finalisti che rimarranno in concorso per aggiudicarsi la tredicesima edizione del Sila.
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Tre domande a Marco Ferrante
Abbiamo voluto approfondire ulteriormente alcuni dei temi del libro con l’autore…
Una Puglia lontana da ogni retorica, ma profondamente radicata nella sua bellezza antica e nelle sue contraddizioni. Da cosa è nato il bisogno di tornare a raccontare questa terra e in che modo la tua esperienza personale ha influenzato la narrazione?
«Sì, la mia esperienza personale ha profondamente influenzato la narrazione. Essendo pugliese, avevo un forte desiderio di raccontare il mondo in cui sono cresciuto. Mi interessava esplorare due aspetti principali: da un lato le origini di quel contesto culturale, e dall'altro l’identità autentica dell’essere pugliese.
Ritengo che esista spesso un problema di fraintendimento riguardo alla vera natura della Puglia e al carattere dei suoi abitanti. Attraverso il mio racconto, ho cercato quindi di chiarire e rappresentare genuinamente cosa significhi realmente appartenere a questa terra e quali siano le peculiarità che definiscono l’essenza pugliese».
Il protagonista Bernardo Bleve è un uomo diviso tra idealismo, senso di colpa e desiderio di riscatto. Quali aspetti della borghesia meridionale hai voluto mettere maggiormente in luce attraverso di lui?
«Mi sono sempre dedicato a definire e analizzare la questione borghese. Esiste un luogo comune secondo cui la borghesia in Italia non esisterebbe, ma questo non è vero. Esiste infatti una borghesia con caratteristiche proprie, e nello specifico una borghesia meridionale con tratti distintivi.
La borghesia pugliese rappresenta un caso particolare all’interno del contesto meridionale. Si tratta di una borghesia anomala rispetto al resto del Sud, poiché in Puglia sono presenti fattori anche di natura economica che hanno permesso la nascita di una classe borghese più economicamente indipendente e intraprendente rispetto ad altre realtà meridionali. Questi elementi hanno consentito lo sviluppo di una borghesia più fattiva, con una maggiore autonomia imprenditoriale e capacità produttiva».
Uno snodo centrale della trama è l’accoglienza di una famiglia di profughi albanesi dopo una tragedia in mare. Tema attualissimo. Cosa ti ha spinto a inserire questo episodio reale nella finzione e come si intrecciano, nel romanzo, le storie di chi arriva e di chi accoglie?
«Semplicemente perché ritengo che tendiamo a sottovalutare questo fenomeno, non riuscendo a coglierne simultaneamente gli elementi di tragedia e di opportunità che vi coesistono. Abbiamo la tendenza a concentrarci unicamente sull’aspetto difensivo nei confronti dell’altro, mentre non mi sembra che ci sia una percezione adeguata della complessità del fenomeno. Probabilmente questo accade perché nella gestione dell’immigrazione esistono problemi amministrativi molto seri che vengono gestiti in modo inadeguato.
Tuttavia, esiste anche una dimensione antropologica in cui dovremmo essere capaci di cogliere sia il senso del dramma umano che si consuma, sia le opportunità di arricchimento culturale e sociale che questo fenomeno porta con sé. È necessario sviluppare uno sguardo più completo che contempli entrambi questi aspetti».